I Testimoni di Geova -
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Sospensione revocata



Nell'ordinanza emessa il 6 dicembre, e pubblicata il 14 successivo, il Tribunale di Bari, IV sezione civile, presidente dott. Aldo Napoleone, ha revocato la sospensione della disassociazione, rimandando per il giudizio di merito al processo che sarà celebrato dinanzi al Tribunale di Bari, sezione distaccata di Bitonto, il 1° marzo 2005.
Il testo integrale dell'Ordinanza:
...............................................................

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI

SEZIONE IV CIVILE
composto dai sigg.ri magistrati:

DOTT. Aldo NAPOLEONE PRESIDENTE

DOTT. Luigi CLAUDIO GIUDICE

DOTT. Francesco CASSANO GIUDICE REL.

riuniti in camera di consiglio per delibare il reclamo avverso il provvedimento cautelare reso in data 1/6/2004, nell'ambito del procedimento contrassegnato con il n. 6990/R.G. 2004,

PROPOSTO DA


CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA, in persona del legale rappresentante sig. R. Franceschetti, elettivamente domiciliata in Bitonto (Ba), alla via Ammiraglio Vacca n. 54, presso e nello studio dell'avv. R. Capaldi, rappresentata e difesa dagli avv. proff. Pietro Rescigno e Andrea Barenghi, del Foro di Roma, unitamente all'avv. prof. G. Tucci, del Foro di Bari, in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione depositata in data 2.2.2004,

Reclamante

NEI CONFRONTI DI


PUCCI VITO, elettivamente domiciliato in Bari, alla via Abate Gimma n. 240, presso e nello studio dell'avv. Luigi Liberti, dal quale è rappresentato e difeso, unitamente all'avv. Luigi De Marco, in virtù di mandato a margine del ricorso cautelare depositato in data 18.3.2004,

Resistente

PREMESSO IN FATTO


L'avvocato Vito Pucci, con atto del 25.10.2003, ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari - Sez. Distaccata di Bitonto, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova per sentir dichiarare la nullità, ovvero per sentir pronunziare l'annullamento, del provvedimento di espulsione adottato in suo danno in data 3 luglio 2003 con la motivazione della "divisione" ex Lettera ai Romani 16:17-18, atteso il suo «insanabile contrasto con i fondamentali principi della Costituzione Italiana (artt. 13 ss.) e dell'Ordinamento Giuridico Italiano, dell'intero procedimento giudiziario di espulsione definito...da parte del Comitato Giudiziario Speciale e del Comitato Giudiziario Speciale di Appello».

Con ricorso depositato in data 18.3.2004, l'avvocato Pucci ha instato per la sospensione in via cautelare, ex artt. 24 c.c. e 700 c.p.c., del provvedimento di espulsione, deducendo, in fatto, che il processo a suo carico era stato «trattato senza preventiva comunicazione degli addebiti, senza guarentigie giurisdizionali, senza contraddittorio (rectius, trattato in un contesto in cui non erano predisposte le condizioni per l'esercizio del contraddittorio), senza un giudice - degno di tal nome - correttamente designato ed investito (i sedicenti comitati giudiziari speciali sono organi inesistenti nello stesso Statuto associativo), e concluso con un "provvedimento" (di espulsione) indegno di tal nome, siccome privo di qualsiasi motivazione, in quanto consistente in una frase ridicolmente notificata mediante telefono cellulare (primo grado) e per citofono (2° grado: ore 23.20 del 20.6.03) e per di più mediante comunicazione a non si sa chi (se lo stesso Pucci, o altro soggetto - non identificabile - non legittimato a ricevere le notificazioni)».

In punto di irreparabilità del pregiudizio, ha altresì dedotto di essere coniugato con persona appartenente alla medesima confessione religiosa; di svolgere da oltre vent'anni una vita quotidiana ispirata ai costumi e alle regole proprie della fede religiosa di appartenenza; di frequentare con la famiglia le adunanze settimanali nella sala del Regno di Bari-Palese e le tre Assemblee annuali presso la Sala delle Assemblee di Bitonto; di praticare la vita sociale quasi esclusivamente con altri Testimoni di Geova; di operare professionalmente in attiva militanza nell'ambito dell’"Associazione Europea dei Testimoni di Geova per la tutela della libertà religiosa", di cui è socio fondatore; con la conseguenza che l'impugnato provvedimento di "disassociazione" avrebbe comportato effetti irreversibilmente pregiudizievoli per sé, per la famiglia e per la vita di relazione, insuscettibili di qualsiasi riparazione patrimoniale.

Con provvedimento del 1° giugno 2004, il giudice adito ha accolto l'istanza cautelare ed ha disposto, ai sensi dell'art. 23 c.c., la sospensione dell'esecuzione dell'impugnata delibera. A fondamento della pronunzia ha rilevato la sussistenza, nell'iter procedimentale seguito dalla Congregazione, di un duplice vizio formale, per ciò che, ai sensi dell'art. 5 dello Statuto, l'espulsione, preceduta dalla proposta dal Corpo degli Anziani di Bari-S.Spirito, avrebbe dovuto essere deliberata dall'Assemblea della Congregazione Centrale, mentre era stato deliberata da un Comitato speciale non previsto dallo Statuto, senza che vi fosse alcuna valida proposta; e per ciò che era mancata qualsiasi formale contestazione degli addebiti ascritti al fedele.

Entrambe le circostanze avrebbero sostanziato - ad avviso del giudicante - la violazione dello Statuto associativo nonché del principio generale del "giusto processo", in particolare nella forma della lesione del diritto di difesa. Con riguardo al periculum in mora, il giudicante ha quindi condiviso pienamente le prospettazioni difensive del ricorrente.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto reclamo in termini la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, eccependo il difetto di giurisdizione statuale nei confronti dei provvedimenti disciplinari resi da confessioni religiose, e comunque contestando nel merito l'effettività di entrambi i vizi procedimentali rilevati dal primo giudice.

Ha resistito il Pucci, riportandosi alle proprie originarie argomentazioni difensive.

OSSERVA IN DIRITTO


L'impugnato provvedimento muove dall'esatta premessa per cui all'intesa stipulata il 20 marzo 2000 tra lo Stato italiano e la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, intesa che all'art. 1 afferma il principio della non ingerenza statale negli atti in materia disciplinare della confessione, non è seguita la relativa legge di esecuzione, pure prevista dall'art. 8, co. III, cost. Da ciò, esclusa correttamente l'evenienza della sindacabilità nel merito dell'atto sanzionatorio, il provvedimento impugnato inferisce la piena conoscibilità dell'atto sotto il profilo formale, invocando a tal fine il disposto di cui agli ant. 23 e 24 c.c.

Sotto siffatto profilo, come detto, il provvedimento reclamato rinviene due diverse ragioni d'illegittimità, ravvisate nella violazione delle disposizioni statutarie che concernono la competenza ad irrogare la sanzione dell'esclusione, e nella violazione del diritto di difesa, con riguardo alla mancata contestazione delle "incolpazioni" ed alla mancata preventiva audizione dell'incolpato in ordine agli illeciti ascritti.

Per converso, la reclamante assume la radicale insindacabilità, anche sotto il profilo formale, del provvedimento sanzionatorio reso dalla Confessione religiosa, nonostante la mancata ratifica dell'intesa stipulata il 20 marzo 2000. Per addivenire ad una siffatta conclusione, la tesi muove dalla premessa sistematica secondo cui, diversamente opinando, la distinzione tra le organizzazioni con scopo di culto e le comuni associazioni finirebbe per confondersi «ove si consideri che anche nel quadro dell'art. 24 c.c. il controllo giudiziale non è mai un controllo di merito dei motivi, ma sempre un controllo di carattere formale».

Evidenzia, quindi, sul piano dei principi costituzionali, come la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, riconosciuta dallo Stato ai sensi dell'art. 2 L. n. 1159/1929 e dell'art. 10 R.D. n. 289/1930 sia una confessione religiosa, e non una semplice associazione, sia pur religiosa, e costituisca quindi, sul piano dell'esperienza religiosa, un "ordine proprio", originario, distinto ed autonomo rispetto a quello statuale.

La rilevanza dell'ordinamento confessionale prescinderebbe, quindi dalla sussistenza di un'intesa con lo Stato, e sarebbe un corollario del riconoscimento costituzionale dell'autonomia confessionale, attuato dagli artt. 7, 8 e 19 cost. Il riconoscimento dell'«autonomia istituzionale» delle confessioni religiose comporterebbe, di conseguenza, il divieto d'ingerenza statale nell'esercizio del potere di governo e di giurisdizione sui propri fedeli (così, in particolare, il parere pro veritate reso dal prof. N. Colaianni).

Sul piano dell'esperienza giuridica, la tesi rimarca come la stessa giurisprudenza del Supremo Collegio abbia chiarito che «l'evoluzione verso la piena autonomia in materia disciplinare e spirituale della chiesa cristiana avventista (come pure della chiesa valdese e degli altri culti acattolici), vale a dire la "non ingerenza statale", si è attuata, oltre e prima che in forza della citata nuova legge, in base alla Costituzione, secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale», con la conseguenza dell'essere «precluso ogni sindacato giudiziale sul provvedimento di espulsione adottato, per ragioni religioso-disciplinari, da una confessione», sicché «difetta la giurisdizione del giudice dello Stato rispetto ad una controversia preordinata a censurare il provvedimento suindicato» (così, Cass., sez. un., 27 maggio 1994, n. 5213, in Giur. it., 1995, I, 1, 1314).

Il Tribunale condivide l'ispirazione sottesa al percorso argomentativo proprio della reclamante, e, alla luce dei principi costituzionali involti, ritiene non possa convenirsi con l'opinione che afferma l'ingerenza nel potere sanzionatorio delle confessioni prive di intesa con lo Stato italiano, quantomeno per il profilo formale degli atti, alla stregua della disciplina che l'ordinamento civile riserva alle associazioni (in tal senso, oltre all'impugnato provvedimento, vd. Trib. Roma, 3 agosto 1996, in Foro it., 1997, I, 598).

Ritiene tuttavia il Tribunale non potersi neppure affermare che l'autonomia e l'autodichia della confessione religiosa in materia sanzionatoria siano assolutamente insindacabili, sì come vorrebbe la reclamante.

Per dettato costituzionale (art. 8), l'autonomia ordinamentale della confessione religiosa incontra un primo limite in ciò che gli statuti associativi, seppur non debbano essere conformi, non debbono neppure porsi in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano.

Non v'è chi dubiti che l'atto disciplinare debba essere rispettoso della dignità e dell'onore del destinatario, sia con riguardo alle modalità con cui è formulato, sia con riguardo alle modalità con cui è pubblicizzato. Del pari, l'atto disciplinare è generalmente ritenuto impugnabile ex se quando ad esso si connettano particolari effetti civili.

In generale, deve rimarcarsi che la libertà delle confessioni religiose costituisce un valore che va coniugato e bilanciato con gli altri principi e con gli altri valori fondamentali tutelati dalla costituzione e dall'ordinamento giuridico. Tra questi, va sicuramente annoverato il «diritto di difesa», siccome tutelato da una congerie di disposizioni costituzionali (ad es., artt. 24, 27, 97, 111), ed in quanto principio aleggiante nell'intero ordinamento giuridico. Con la conseguenza, tra l'altro, e con riferimento al caso di specie, che è compito della giurisdizione statuale vagliare se il procedimento di esclusione dell'associato sia stato assunto a seguito di un procedimento «giusto», nel senso che abbia assicurato il diritto di difesa del fedele.

Ciò, deve dirsi persino quando siano intercorse, tra la confessione religiosa e lo Stato, intese che sembrino escludere - in apparenza - ogni potere d'ingerenza e di sindacato dell'attività disciplinare della confessione, che si indirizzi agli associati uti fidelis. In ogni caso, infatti, non sono tutelabili dall'ordinamento fatti, atti o comportamenti che investano, violandoli, principi essenziali ed irrinunciabili dell'ordinamento giuridico italiano.

Il procedimento disciplinare confessionale non può violare, quindi, il diritto di difesa del fedele nel procedimento.

E tuttavia, si è avuto modo di chiarire, persino nell'ambito della giurisprudenza elaborata in tema di delibazione di sentenze straniere (e di sentenze ecclesiastiche), che il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie (cfr., ex multis, Cass. 14 gennaio 2003, n. 365, in Giust. civ. Mass. 2003, 77; Cass. 3 marzo 1999, n. 1769, in Giust. civ., 1999, I, 3009).

Ciò significa, con riguardo particolare al diritto di difesa, che occorre assicurare il rispetto del suo nucleo essenziale, costituito dal contraddittorio, epperò non necessariamente nelle stesse forme previste dalla legge italiana, o dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In altri termini, deve escludersi la necessità della pedissequa applicazione dell'elaborazione giurisprudenziale in tema di art. 24 c.c., ovvero dell'elaborazione giurisprudenziale in tema di giusto processo, ex artt. 111 e 24 cost.

Quanto detto si riflette sull'asserita necessità di una specifica, formale e preventiva contestazione degli addebiti all'incolpato, che la giurisprudenza ha talvolta preteso per affermare la regolarità formale dell'espulsione dall'associazione, ai sensi dell'art. 24 c.c. (vd., ad es., Trib. Torino, 15 febbraio 1996, in Società, 1996, 1299).

La libertà e la difesa degli individui all'interno delle confessioni religiose (art. 2 cost.) vanno coniugate e bilanciate con la libertà delle confessioni religiose, in quanto rappresentative di ragioni di spiritualità e di fede degne di per sé di tutela (artt. 7 e 8 cost.). Il contrasto tra l'individuo ed il gruppo non può essere regolato prescindendo del tutto dalle peculiarità dell'esperienza religiosa.

Si pensi al caso di specie: il fedele venne reso edotto in forma orale degli addebiti mossigli, mediante un colloquio che, nella concreta esperienza religiosa, dovette svolgersi verbalmente proprio in quanto propedeutico e funzionale non già all'espulsione, ma al convincimento ed al recupero del peccatore. Il colloquio, svoltosi il giorno 4 giugno 2003, e durato ben sei ore, precedette di due giorni l'avvio della procedura giudiziaria.

Lo stesso Pucci riconosce che il successivo 6 giugno gli venne comunicato che il Comitato avrebbe condotto il nuovo incontro non più come comitato speciale ma nella qualità di comitato giudiziario, sicché egli, evidentemente consapevole del significato della trasformazione, che implicava l'avvio del procedimento giudiziario, si sottrasse al nuovo incontro. Il 7 giugno 2003 il Pucci venne convocato una seconda volta «telefonicamente» dal Comitato e gli venne rappresentato che si sarebbe proceduto anche «in contumacia».

Egli, il 10 giugno 2003, ebbe poi comunicazione in forma orale delle proposte formulate a suo carico, alla presenza di due testimoni, sì come previsto dalle direttive "Prestate attenzione a voi stessi e a tutto il gregge" (p. 149), e "Organizzati per compiere il nostro ministero" (p. 147), emanate dalla "Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania", organizzazione gerarchicamente sovraordinata rispetto alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova. Contemporaneamente, venne reso edotto che poteva preservare appello contro tale proposta al Corpo degli anziani della congregazione locale di Bari Santo Spirito: la comunicazione avvenne pacificamente per mezzo del telefono, non essendosi il Pucci presentato all'incontro.

Che una siffatta comunicazione, sulla quale si sono appuntati lungamente gli strali del ricorrente, abbia sortito gli effetti suoi propri, di rendere efficace la proposta, è reso manifesto da ciò che, il successivo 17 giugno 2003, il Pucci, usufruendo di una facoltà riconosciutagli dallo Statuto, presentò appello al Corpo degli anziani della Congregazione di Bari Santo Spirito. In data 20 giugno 2003, sempre contumace il Pucci, la proposta fu confermata da un Comitato giudiziario speciale di appello.

La conferma della proposta venne comunicata al Pucci per il tramite del citofono, alle ore 23,20 (sì come sostanzialmente riconosciuto in atto di citazione). In data 3 luglio 2003 l'Assemblea dei soci della Congregazione centrale deliberò l'espulsione del Pucci, ai sensi degli artt. 8 e 9 dello Statuto.

La mera scansione diacronica degli accadimenti evidenzia che il Pucci fu messo in condizioni di conoscere preventivamente gli addebiti ascrittigli, di interloquire in ordine alla loro fondatezza, di essere reiteratamente ascoltato nel corso del procedimento dagli organi procedenti, di conoscere le proposte formulate dagli organi istruttori, di appellare quelle proposte, di conoscere le decisioni finali assunte dall'assemblea centrale dei fedeli.

Sicché, deve concludersi nel senso che il diritto di difesa del fedele, seppure in modo non consono con le prescrizioni proprie dell'ordinamento civilistico, nel suo nucleo essenziale, consistente dei poteri e delle facoltà di contraddire nel processo, è stato sostanzialmente tutelato; sicuramente, quel diritto non è stato vulnerato al punto da doverne inferire la illegittimità della sanzione irrogata.
Ancora più evidente appare la conclusione con riguardo al profilo della incompetenza a procedere dei Comitati, speciali e giudiziari, per asserito contrasto con le previsioni statutarie concernenti il procedimento sanzionatorio.

Il Giudice di prime cure ha fondato la declaratoria di illegittimità sulla mancanza di una deliberazione del Corpo degli Anziani della Congregazione di appartenenza, che potesse fungere da proposta di espulsione indirizzata al Corpo direttivo della Congregazione centrale, organo competente per la deliberazione definitiva della proposta, da sottoporre poi alla decisione finale dell'Assemblea[1].

Invero, il Comitato direttivo della Congregazione centrale aveva nominato, ai sensi dell'art. 9 dello statuto, un comitato speciale per verificare la situazione del Pucci. All'esito del colloquio intercorso il 4 giugno 2003, il Corpo degli Anziani della Congregazione di Bari Santo Spirito, il successivo 5 giugno, rappresentò al Comitato Speciale che: «vista la gravità delle dichiarazioni e delle azioni del suddetto fratello (minaccia di denunciare gli anziani di congregazione alle autorità giudiziarie, dichiarazioni calunniose verso fratelli della congregazione centrale), questo corpo degli anziani ritiene necessario che si formi un comitato giudiziario per aiutare il fratello in questione», sicché il Comitato speciale si trasformò in Comitato giudiziario, agendo quale emanazione del Corpo degli anziani.

Il comitato giudiziario agì pertanto nella qualità di organo del Corpo degli anziani, tant’è che lo stesso appello, come detto, venne presentato dal Pucci al corpo degli anziani della congregazione di Bari Santo Spirito. La proposta di espulsione del Pucci venne poi confermata da un comitato giudiziario speciale di appello. Il Comitato direttivo della Congregazione centrale, cui la proposta venne inviata, ratificò l’espulsione, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto ed infine l’Assemblea dei soci della Congregazione centrale deliberò formalmente l’espulsione.

Orbene, l’art. 9 dello Statuto della confessione consente espressamente che il Comitato direttivo della Congregazione nomini Comitati speciali «per lo svolgimento di particolari compiti». Con riguardo poi al Comitato giudiziario, la reclamante invoca la prassi consuetudinaria, che vuole la fase istruttoria dei procedimenti disciplinari condotta da comitati che assumono la funzione di rappresentare gli organi statutariamente competenti.

Che una prassi dei genere sussista è ammesso dallo stesso Pucci il quale, nella premessa del suo atto di citazione, espressamente ha indicato - tra gli scopi dell'iniziativa giudiziaria - quello di «accertareincidenter tantum, però con forza di giudicato, nel massimo rispetto della lettera e dello spirito dello Statuto ..., la compatibilità della prassi corrente tra i Testimoni di Geova italiani di usare e 'abusare' degli organi disciplinari interni denominati 'comitati di servizio', 'comitati giudiziari', 'comitati giudiziari speciali', ecc., con l'Ordinamento giuridico dello Stato Italiano e, in particolare, con l'Amministrazione della Giustizia».

Va poi riconosciuto che si tratta di prassi consuetudinaria secundum jus, in quanto trova la sua scaturigine in una delega dell'organo competente, cui l'attività del Comitato è pur sempre imputabile, ed in quanto positivamente prevista dalle direttive rese dall'Organizzazione mondiale dei Testimoni di Geova ("Prestate attenzione a voi stessi e a tutto il gregge"[2]), di cui la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova è l'espressione territoriale italiana, ed alla quale essa è gerarchicamente sottordinata. E', infatti, espressamente previsto dall'art. 3, u.c., dello Statuto che la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova operi «in armonia con i principi e con le direttive dell'Organizzazione mondiale dei Testimoni di Geova».

Può pertanto escludersi la ricorrenza della dedotta illegittimità provvedimentale, per preteso contrasto con l'ordinamento statutario della confessione religiosa.

Alla stregua di tutto quanto precede, il reclamo, fondato, dev'essere accolto, con effetto di revoca della cautela concessa in data 1° giugno 2004.

Trattandosi di cautela richiesta in corso di causa, anche le spese di questa fase del procedimento vanno rimesse al merito del giudizio.
P.T.M.
accoglie il reclamo come in epigrafe introdotto e, per l'effetto, revoca il provvedimento cautelare inter partes reso in data l° giugno 2004. Spese al merito

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio della IV sezione civile, addì 6 dicembre 2004.

Il Presidente
(f.to dott. A. Napoleone)
L’estensore

(f.to dott. F. Cassano)
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
OGGI 14-12-04
Il Cancelliere
(f.to dott.ssa Carmela Zaccaria)

1 Art. 5 dello statuto: «…I soci effettivi e aderenti sono espulsi per gravi inadempienze agli obblighi derivanti dal presente statuto, per comportamento contrario agli insegnamenti delle Sacre Scritture in campo morale, e, comunque, tale da danneggiare la Confessione e i suoi membri o da causare grave turbamento fra i membri stessi.

La decadenza e l’espulsione dei soci effettivi sono deliberate dall’Assemblea su proposta del Comitato direttivo. La decadenza e l’espulsione dei soci aderenti sono deliberate dall’Assemblea su proposta del corpo degli anziani delle Congregazioni locali, ratificata dal Comitato Direttivo...».

2 «Come trattare i casi giudiziari. Non inviate a un individuo nessun genere di corrispondenza che lo accusi direttamente di una specifica trasgressione. E' meglio che due anziani gli parlino e lo invitino ad incontrarsi con il comitato giudiziario. Dovrebbero prendere accordi adeguati sull'orario e sul luogo dell'udienza... Se ripetutamente l'accusato non si presenta all'udienza, il comitato procederà, ma non prenderà una decisione...

Se però le nuove accuse si dimostrano vere e la persona non manifesta vero pentimento, il comitato d'appello può decidere di disassociarla per questi nuovi motivi. Il comitato d'appello comunicherà quindi all'accusato la propria decisione di confermare la disassociazione e lo informerà anche dei passi che deve fare per essere riassociato...

Quando il comitato d'appello conferma la disassociazione, non ci si può appellare ulteriormente. Se tuttavia la persona continua a credere che sia stato commesso un grave errore di giudizio, il comitato d'appello dovrebbe informarla che ha sette giorni di tempo per presentare per iscritto le sue opinioni al comitato d'appello perché vengano trasmesse alla filiale. ...».
...............................................................
Secondo il quotidiano La Repubblica, edizione Puglia di domenica 19 dicembre,
sarà la Cassazione a dirimere la controversia.
Il quotidiano Puglia del 23 dicembre 2004 ha pubblicato il seguente articolo


Altro articolo, pubblicato dal quotidiano BariSera del 23-24/12/2004, p. 11:

L'incredibile guerra giudiziaria tra un avvocato palesino e la nota Congregazione
La grande sfida ai Testimoni di Geova

Vito Pucci non ha accettato di essere stato "scomunicato"
dai dirigenti dell'associazione religiosa e ha portato il caso in Tribunale


PALESE - Può lo Stato decidere l'appartenenza religiosa o meno di un uomo ad una fede religiosa

E' questo, in estrema sintesi, il senso di un singolare caso di contrapposizione tra autoritarismo religioso e caparbietà umana scoppiato nella comunità palesina della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova. La vicenda giudiziaria, che vede contrapposto un cittadino barese della 1° Circoscrizione, Vito Pucci, alle massime gerarchie della comunità religiosa di cui è membro, sta assumendo una tale rilevanza da andare ben oltre i confini del contesto locale in cui si è prodotta.

Il caso: Vito Pucci, di professione avvocato e testimone di Geova da oltre 25 anni, originario di Altamura e residente da tempo a Santo Spirito, non ha accettato il verdetto di espulsione emesso nel luglio 2003 dai dirigenti nazionali della sua congregazione religiosa. Questi gli hanno reso noto, durante una celebrazione, quindi pubblicamente, che era stato "scomunicato" a causa di un suo presunto comportamento scorretto e irrispettoso verso gli anziani e le regole interne al gruppo di appartenenza.

Ma il cinquantenne avvocato di Santo Spirito non si è lasciato intimidire dal provvedimento a suo carico e ha portato la vicenda in Tribunale. Qui Pucci, a giugno 2004, ha ottenuto in via cautelativa un provvedimento di reintegra, con il quale il giudice ordinava alla Congregazione dei Testimoni di Geova di sospendere gli effetti della scomunica. A questo punto, l'avvocato avrebbe dovuto essere, per così dire, "reintegrato nella fede" per volere giudiziario. Ma quasi immediatamente è stato presentato reclamo contro quel provvedimento cautelare.

Il verdetto è arrivato recentemente: la IV Sezione del Tribunale di Bari (presidente Aldo [Napoleone]) ha accolto il reclamo dei dirigenti della Congrega e ha revocato il provvedimento cautelare inter partes, rimettendo la controversia al giudizio di merito, che dovrebbe avere inizio a marzo 2005 innanzi al Giudice Unico della sezione distaccata di Bitonto.

Pertanto Pucci, dopo circa sei mesi, deve riconsiderarsi nuovamente "scomunicato" e, almeno fino a quando non si concluderà il processo, il suo diritto ad esercitare il credo nella famiglia religiosa dei Testimoni di Geova, in cui si identifica, è da ritenersi sospeso.

Così rappresentata questa sembrerebbe una storia grottesca e irrilevante, se non fosse per le implicazioni giuridiche e i risvolti umani che la stessa comporta. Aspetti tanto importanti per l'avvocato da fargli ritenere la sua reintegrazione tanto urgente da non voler attendere l'esito della causa. Pucci ha infatti preannunciato di voler proporre, a sua volta, reclamo in Cassazione contro l'ordinanza della IV Sezione del Tribunale di Bari.

Tra l'altro la moglie e i figli dello "scomunicato" sono anche Testimoni di Geova e quindi si troverebbero in condizione di forte disagio a causa del provvedimento emesso a livello religioso nei confronti del loro congiunto.

Sono questi dunque gli aspetti essenziali alla base della vicenda giudiziaria che vede contrapposti l'avvocato Pucci e la famiglia religiosa di cui si sente tuttora parte, e per la quale in passato si è speso non solo socialmente, ma anche professionalmente, sin da quando ha intrapreso la carriera forense.

Il problema di fondo da lui sollevato è capire se la "disassociazione religiosa", quando implica effetti che ledono la vita familiare, sociale e professionale degli individui, possa essere comminata da organismi interni al sodalizio. Organismi che, rivendicando un'insindacabilità di giudizio anche nei confronti degli organi statuali, vorrebbero, sempre a parere di Pucci, un'egemonia di carattere non religioso anche su princìpi fondamentali come il rispetto della persona umana e delle regole generali di convivenza civile fra gli individui.

Ma la querelle Pucci-Congrega potrebbe assumere contorni ancor più gravi se fosse vera la tesi dell'avvocato che sostiene di essere ormai diventato "scomodo" per i Testimoni di Geova. Pucci avrebbe infatti criticato i metodi praticati da alcuni dirigenti dei Testimoni stessi.
La partita giudiziaria resta aperta, ma soprattutto quella umana. La Fede oltre che carità è anche speranza. Per tutti.
Giuseppe Palella

L'articolo originale


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Una vicenda conclusa?
Il 20/02/2007 un gudice ha respinto il ricorso di Vito Pucci.


 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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